Aveva visto molto lontano Dante quando augurò che dietro il suo esempio, nel tempo avvenire, Apollo concedesse ad altri la sua somma ispirazione divina, e persino “con miglior voci”. Il viaggio del sommo Poeta è il viaggio dell’uomo dentro il mondo sconfinato del proprio essere. Ecco perché non ha mai fine e continua ad alimentare il fuoco sacro di artisti quali Andrea Ortis, regista, autore e attore in questa straordinaria rivisitazione del celebre classico della letteratura di tutti i tempi che è l’opera musicale “Divina Commedia”.

Tra i 4mila spettatori che in 4 giornate di rappresentazione, tra serali e matinee, hanno fatto registrare un sold out al teatro Politeama di Catanzaro, anche una rappresentativa di studenti del Liceo Scientifico Filolao di Crotone, che nella mattinata di lunedì 17 si è recata nel capoluogo per cogliere questa irrinunciabile opportunità. Hanno partecipato gli studenti delle classi 3B, 3E, 3G e 4D accompagnati rispettivamente dalle professoresse Gabriella Latini, Catia Gallucci, Celeste Cristino e Maria Rosaria Paluccio.

Impresa non facile e davvero rischiosa quella di confrontarsi con il Poeta fiorentino, e ancor di più quella di condensare in un’opera musicale il potente universo immaginario della Divina Commedia. Ma Ortis ha trovato la sua chiave d’ingresso, rispettando i due piani narrativi, quello della voce autoriale, il Dante-scrittore della scena d’apertura con la voce inconfondibile di Giancarlo Giannini, e quello del viandante, del Dante che sprofonda negli incubi e nelle visioni delle umane passioni, e che risale, col sostegno della ragione e dell’amore, verso la luce.

E due sono altresì i binari della vicenda: quello comune di chi, perduto l’amore, cade in una sorta di prostrazione spirituale e trova nella scrittura il tracciato di una possibile uscita dall’oscurità; e quello, certamente meno scontato, di chi si aggrappa alla ragione, con tutti i suoi limiti, i suoi dubbi, le sue oscillazioni, per affrontare a viso scoperto il dolore, vivo profondo cupo, che è parte della vita, che fa male, che non si può evitare. Al suo culmine il dolore giunge con la perdita di ciò che si ama, e può essere qualsiasi cosa: una persona, come Paolo per Francesca da Rimini; la fiducia, per Pier delle Vigne; la propria prole, per Ugolino; la Libertà, per Catone; la felicità coniugale, per Pia de’Tolomei; la conoscenza, per Ulisse. Qualsiasi volto abbia, il dolore, occorre attraversarlo perché non diventi motivo di dannazione. E’ una scelta, dice Virgilio, che spetta solo a chi si mette in cammino: proseguire, sapendo cosa lo attende, o rinunciare, per non arrivare mai a scoprire che, al di là della notte, è il giorno, è “l’Amore che move il Sole e l’altre stelle”.

Se chiaro è stato il messaggio dell’opera, spettacolare può dirsi la complessiva resa scenica, canora e coreografica. Primo atto interamente dedicato all’Inferno e reso opportunamente più dinamico dalle evoluzioni acrobatiche del corpo di ballo, dagli scenari in 3D delle proiezioni computerizzate e da un palco modulare su cui si disponevano i diversi piani spaziali o temporali della narrazione. Il Paradiso condensato nel solo momento della ricongiunzione a Beatrice, l’apice del coinvolgimento emotivo con la struggente aria corale “A riveder le stelle”.

Insomma, un impasto di espressione artistiche di massimo livello, con l’inevitabile risultato di lasciare, nell’animo di chi vi ha assistito, un’orma indelebile di ciò che la creatura umana è in grado di fare quando “Amor gli spira, ed a quel modo ch’ei ditta dentro, va significando”.

Gabriella Latini