Ed è lì, dove finisce la terra, che ebbe inizio la mia breve ma intensa avventura sulla nave scuola della Marina Militare Palinuro.

Domenica 5 Ottobre 2014, presso il porto di Brindisi, mi imbarcai insieme ad altri venticinque giovani allievi, su quella meravigliosa goletta di nome Palinuro che da oltre 80 anni solca i mari e gli oceani di tutto il mondo.
Il veliero fu costruito in Francia, negli anni 30’ del ventesimo secolo, come nave mercantile; negli anni cinquanta però, la Marina Militare Italiana, l’acquistò trasformandola in una nave scuola per sotto-ufficiali, dove appunto, i nuovi marinai potevano apprendere i principi fondamentali della navigazione d’altura. Da quasi un secolo ad oggi, la nave non è cambiata molto, eccetto qualche revisione estetica. Sembra di vivere nel passato….. questa è una delle prime sensazioni che provai appena salito a bordo, e che mi fu poi confermata dall’ufficiale che ci accolse, il quale affermò che stavamo per vivere un’esperienza di navigazione quasi identica a quella che viveva un marinaio nel Seicento.
Saliti sulla nave, riunirono tutti noi allievi sotto coperta, in una stanza di circa 20 mq che, da quel giorno in poi, sarebbe stata, nello stesso tempo, il nostro dormitorio e la nostra mensa.
I due ufficiali che ci accolsero, ci spiegarono brevemente tutto ciò che avrebbe compreso la nostra imminente vita di bordo: le regole da rispettare, gli ordini, i lavori da eseguire in tutte le ore del giorno o della notte, e soprattutto, il rispetto verso tutto l’equipaggio, perché appunto come dice il proverbio, “siamo tutti sulla stessa barca”.
Subito dopo cena, un nocchiere fu incaricato di insegnare a noi allievi come montare le amache per la notte; un lavoro non del tutto semplice, in quanto bisogna stare attenti a formare dei nodi corretti, altrimenti c’è il rischio concreto, di cadere su chi dorme al di sotto di noi. Contro ogni aspettativa, la prima notte passò senza particolari intralci, certo, un’amaca non sarà mai confortevole come un letto, e dormire tutti ammassati, non è una bellissima sensazione, ma fu senz’altro la notte che ricordammo con nostalgia, in quanto dopo il primo giorno, a causa dei turni notturni e del mare mosso, fu impossibile dormire in serenità.
“Faventibus ventis”, ossia “con venti favorevoli”, questo è il motto della nave, ma appena usciti dal porto di Brindisi, di venti favorevoli nemmeno l’ombra.
Eravamo in mezzo al mare, sotto la pioggia, e con onde alte fino a tre metri e mezzo; su una nave da crociera, non ci sarebbe stato nulla di strano, ma su un veliero di soli settanta metri, il mare si fa sentire parecchio, e vedere la prua cadere quasi in picchiata nel mare, rese l’inizio del viaggio davvero traumatico per noi allievi, non abituati a tali movimenti in alto mare. E fu così che, nel giro di poche ore, la maggior parte di noi furono completamente abbattuti dalla forza della Natura.
Nonostante la difficoltà reagimmo, e con grande forza di volontà, iniziammo a svolgere, seppur barcollando, i nostri ruoli a bordo della nave.
Fummo divisi in 3 squadre di guardia, le quali operavano nelle diverse ore del giorno, 24 ore su 24, con turni alternati, notturni e diurni, di quattro o due ore ciascuno. Durante i turni di guardia si svolgono tutte le principali attività di navigazione: la guida al timone, gli studi cartografici, i turni di vedetta, e anche quelli meno piacevoli di lavapiatti in cucina. Ogni squadra di guardia è composta da un Nostromo, che dirige i nocchieri, ovvero i sotto-ufficiali specializzati nel salire sugli alberi , e da noi giovani allievi, a cui ci vennero affidate tutte le normali mansioni tranne, la salita sugli alberi, per questioni di sicurezza.
La nostra nuova vita venne così scandita dalla radio di bordo, che ci dava il risveglio, ci avvisava degli imminenti cambi di guardia, dei compiti, per chi non era di turno, e anche degli orari dei pasti.
A proposito di cucina, noi allievi ci aspettavamo delle mense molto povere e poco apprezzabili in quanto al gusto; ma gli chef di bordo ci sorpresero su questo punto di vista, infatti sembrava di pranzare ogni giorno in un ristorante, l’unico problema era prestare attenzione ai cibi che si consumavano: evitare piatti troppo abbondanti o ricchi di condimento, in quanto il nostro metabolismo era già abbastanza provato dal mare; gli stessi cuochi ci sfidavano a mandare giù tutto il cibo, senza poi rimetterlo!
In pochissimo tempo si creò un feeling davvero particolare con l’equipaggio e con la nave; a bordo ci si sente come in una grande famiglia, ci si aiuta l’uno con gli altri. Esperienze del genere insegnano a convivere, rimettono in gioco vecchi valori ormai in disuso nella nostra era tecnologicamente avanzata, ma socialmente arretrata. La nave non era l’ammasso di ferri che ci permetteva di solcare le onde, ma eravamo noi membri dell’equipaggio, che con il nostro impegno e con il nostro spirito di squadra, mandavamo avanti il nostro veliero in quella infinita distesa di acqua blu.
Con il miglioramento delle condizioni climatiche, iniziammo a godere al meglio della nostra esperienza a bordo, ogni giorno si imparavano cose nuove, nuovi vocaboli, nuovi oggetti, tecniche di navigazione, e anche i veri e propri cerimoniali della Marina Militare Italiana. In particolare, ogni giorno, verso le sette di sera, si celebra l’ammaina bandiera, un momento quasi sacro per i marinai, scandito dal suono acuto di un fischietto, che ordina a tutto l’equipaggio di stare sull’attenti e prepararsi a questa breve cerimonia. Durante l’ultimo giorno di navigazione, in via del tutto casuale, ma allo stesso tempo eccezionale, ebbi l’onore di recitare io stesso l’ammaina bandiera, un momento unico e, molto probabilmente, irripetibile. Lessi con voce solenne, i versi che narravano la storia tragica ed eroica di Giorgio Giobbe, un volontario delle forze d’assalto delle Regia Marina, che permise il compimento di una grande impresa militare italiana, nella quale però, perse la vita sotto un bombardamento aereo. Alla sua storia seguì, come di consueto, la lettura della preghiera del marinaio. Le mie parole erano seguite ed ascoltate con attenzione da tutto l’equipaggio sull’attenti, fu per me un’esperienza davvero emozionante. Durante l’ammaina bandiera infatti, si respira un’aria di patriottismo che mai, prima di quel momento in vita mia, avevo provato, una sensazione speciale, commuovente e ricca di gioia allo stesso tempo, che ti fa sentire fiero e orgoglioso di appartenere alla bandiera tricolore Italiana.
Come tutte le cose belle però, anche questo viaggio è sembrato svanire via troppo in fretta; dalla voglia di scappar via il primo giorno, al desiderio di continuare a vivere quella fantastica avventura in mezzo al mare, lontani dalle nostre comode case. Avremmo preferito continuare a svegliarci nel bel mezzo della notte, per fare le vedette sotto la pioggia o per lucidare ottone alle sei di mattina, piuttosto che stare seduti sul divano a guardare la TV; sembrerebbe assurdo ma è così, perché la sensazione di vivere fra le braccia della natura è un qualcosa di inappagabile: vedere il sorgere del sole ogni mattina, i delfini saltar tra le onde, il cielo incontaminato ricco di stelle, il sole spegnersi nel mare…… tutto ciò, mentre si viene cullati dalle onde. Mi sento davvero fortunato di avere avuto la possibilità di vivere un’esperienza del genere, che mi ha insegnato cose che non si imparano tra i banchi di scuola, che mi ha permesso di vivere momenti unici e di conoscere persone fantastiche che non dimenticherò mai.
Vivendo in mezzo al mare, non cambia solamente la prospettiva con la quale si vede la Terra, ma anche la prospettiva di vedere la propria vita, e il modo di affrontare le difficoltà che incontriamo ogni giorno sulla rotta della nostra esistenza.

Belfiore Gabriele.